martedì 3 settembre 2019

#Libri 'La bambinaia francese' di Bianca Pitzorno, inammissibile (e noioso) stravolgimento di 'Jane Eyre' di Charlotte Brontë


La bambinaia francese
di Bianca Pitzorno

Dati tecnici:
Casa Editrice: Mondadori
Pagine: 497
Anno: 2004
Genere: romanzo epistolare; fanfiction



Trama: Sophie Gravillon ha nove anni, è orfana di padre (morto durante “Le Tre Gloriose” del 1830) e vive a Parigi in un sottotetto umido e freddo assieme alla madre ricamatrice, assai malata. Presto la sorte sembra peggiorare, perché la madre muore di stenti mentre Sophie è fuori per una commissione. Per sua fortuna viene a salvarla Céline Varens (ballerina momentaneamente lontana dalle scene perché divenuta mamma da pochi mesi di Adèle), per cui la madre aveva cucito delle meravigliose camicie.
La vita presso la villa di Céline è ricca di emozioni per la giovane Sophie, nonostante la cattiveria del marito della ballerina, (Mister R. – perché lo chiamano così?), anche perché Céline, fingendo con il marito di aver accolto Sophie come cameriera, in realtà la manda a scuola dal Cittadino Marchese (un nobile votato agli ideali della Rivoluzione Francese) assieme ad un ragazzo giamaicano, Tussaint, regalato a Céline dal perfido marito come schiavo ma che la dolce e premurosa Céline ha liberato (senza dirlo al marito).
Tutto sembra procedere nel migliore dei modi per Sophie e la sua nuova, accogliente famiglia, ma tutto viene stravolto prima con l’abbandono del tetto coniugale del marito di Céline (che rivela di non essere mai stato un vero marito e che il matrimonio non era valido) e poi con la morte del Cittadino Marchese e l’arrivo degli orribili nipoti che, lontani dagli ideali della Rivoluzione Francese, non solo cacciano dalla casa del marchese tutti (smantellando anche la sua scuola) ma fanno pure imprigionare l’innocente e leggiadra Céline, accusandola di circonvenzione di incapace (il Cittadino Marchese aveva lasciato alla virtuosa ballerina molti soldi e un paio di case).
In questa situazione di estrema tensione per tutti, torna il mostro: il marito-non marito di Céline, che non degnando di uno sguardo la moglie-non moglie viene a salvare Adèle per portarla in Inghilterra nella sua dimora, anche se non crede affatto (o almeno dice di non credere) di esserne il padre.
Sophie si sconvolge a questa prospettiva: che la povera Adèle possa essere accolta dal mostro in un ricco castello dove avrebbe avuto a sua disposizione istruzione grazie ad un’istitutrice privata, attenzioni e soprattutto un caldo tetto sulla testa, quando invece a Parigi, qualora in futuro fossero stati risolti i problemi, la piccola sarebbe potuta esse felice con la missionaria Céline (che però al momento è in prigione e a nessuno è concesso vedere e la povera Adèle vive in una soffitta maltrattata dai proprietari). Sophie si propone, quindi, di seguire Adèle come bambinaia, fingendosi illetterata. Arriva così a casa del Mostro: Thornfield Hall…

Commento: Lo avete capito? Avete riconosciuto i nomi? Siete riusciti a fare i collegamenti?
Mister R.? (nominato solo a quasi metà romanzo come Rochester?)
Céline Varens?
Adèle?
Thornfield Hall?
Sì… ci state arrivando… Si tratta esattamente dei personaggi di Jane Eyre di Charlotte Brontë…
Ma non considerate La bambinaia francese come una sorta di prequel o spin-off, come ne sono sorti a centinaia per le opere di Jane Austen. No. Si tratta di un attacco violento alla storia. Di un bombardamento continuo.
Perché la Pitzorno ha osato farlo? Nei ringraziamenti scrive che La bambinaia francese nasce come risposta alla doppia dichiarazione di disistima che Charlotte Brontë ha espresso nei confronti del carattere delle donne francesi e “sugli adulti che si inteneriscono eccessivamente dell’infanzia” (citazioni di cui però non dice il contesto), e, visto che lei invece “ha un debole per i bambini e una grande ammirazione per il carattere per la cultura dei francesi, specie quelli dell’Ottocento” ha dato vita a questa storia.
Ahaaaaa… Ripeto Ahaaaaa… Ma scriviti una storia tua ambientata in Francia, esalta la Rivoluzione Francese (poi torniamo su questo punto), descrivi le attricette come le donne più buone e sante del mondo, elargisci consigli sull’amore libero (l’ultima pagina del romanzo è da brividi riguardo a questo argomento) e sulla meraviglia del divorzio condendolo con frasi ad affetto contro la schiavitù così sembri nel giusto… ma fallo con una storia TUA. Non prendere in prestito uno dei capolavori della letteratura mondiale, per poi farlo a pezzi, facendo fare capriole narrative ai personaggi….


Avevo questo libro da anni, ma non lo avevo mai preso in considerazione. Dalla trama mi sembrava noioso. Tuttavia mi era stato recentemente suggerito da alcune persone definendomelo bellissimo e quindi lo avevo inserito tra i libri ‘da leggere a breve’. Ora, sinceramente, mi chiedo: Perché è piaciuto?
Possibile che non conoscano l’opera della Brontë da non accorgersi dello scempio fatto? Credo che sia l’unica risposta possibile (anche se le persone sono esperte di period), perché chiunque abbia letto (o visto) Jane Eyre non può applaudire questo romanzo (e sto al momento parlando solo della trama, poi mi soffermerò sullo stile). Tutti i personaggi vengono stravolti: da Rochester alla “cara e generosa” Céline, da Adèle (che finge solo di essere viziata e superficiale, in realtà ha la saggezza di un’adulta!) alla stessa Jane Eyre (mostrata solo come un’istitutrice severa e bacchettona), fino a Bertha Mason (che per magia non è affatto pazza, ma solo vittima del mostro Rochester). Per non parlare dell’arco narrativo che in questo modo viene stravolto: è solo grazie a Jane Eyre che Rochester cura le proprie ferite e riesce a rivedere la luce. Se nella sua vita avesse incontrato una santa come la Céline della Pitzorno, il ruolo salvifico di Jane Eyre verrebbe completamente a mancare (e di fatto crollerebbe tutta la struttura narrativa del romanzo).



Un'illustrazione di come era realmente la pazza Bertha Mason

Probabilmente ci sarà stata euforia nel far combaciare tutti gli ingranaggi (mettendo qualche bugia detta da qualcuno di qua e qualche impressione sbagliata di qualcun altro di là), in modo tale che quello che la Brontë fa ‘sembrare’ ha invece una spiegazione assai diversa (in questo mi fa tornare in mente un libro bellissimo, La quarta verità di Iain Pears, in cui uno stesso evento viene raccontato da quattro persone ma solo una versione è quella corretta – esaltazione delle apparenze e dei significati diversi che si possono dare ad uno stesso evento).
Ci troviamo, tuttavia, di fronte ad un problema: Charlotte Brontë. Il romanzo non è una narrazione giornalistica di un evento, in cui la Brontë riferisce dei fatti fornendosi di alcune fonti, che però l’hanno ingannata o da cui lei ha tratto conclusioni sbagliate. Jane Eyre è un romanzo che la Brontë ha sentito scorrere dentro alle vene e che ha narrato facendolo uscire dal pennino. Lei SAPEVA la storia e se parla male di Céline è perché Céline così era, non perché l’autrice è stata fuorviata da Rochester. La storia è questa. Può non piacere (siamo nati liberi), ma ciò non toglie che la ‘verità’ della storia è quella. Stravolgerla è un atto di violenza enorme verso uno scrittore (credo che non vi sia nulla di peggiore che un autore possa subire).


Jane Eyre con Adèle, dal film del 1986 di Franco Zeffirelli

Libro per ragazzi?
Ed ora, risolto l’argomento sullo spudoratezza di appropriarsi della storia di un’altra rimaneggiandola, passiamo allo stile.
Il libro viene inserito in una collana per ragazzi (la Pitzorno è una nota scrittrice per ragazzi, sebbene non tutti siano d’accordo con alcune tematiche narrative, ma non entriamo nel merito), tanto che come sito internet di riferimento scritto sul libro è ragazzi.mondadori.com.
Pur essendo la protagonista una ragazza (Sophie, che per la maggior parte della storia ha circa 14-15 anni, anche se si fa passare per diciottenne), lo stile è pomposo e assai noioso. La Pitzorno, infatti, nel corso di praticamente tutta la narrazione cerca di sciorinare le informazioni che ha sull’epoca, dal balletto alla letteratura, dall’opera alla storia, infarcendo i dialoghi di riferimenti ad altri testi e a richiami dei contemporanei rendendo la dialettica pesante e di fatto improponibile, perché nessuno al mondo parlerebbe in questo modo. Posso fare un esempio (ma ce ne sono davvero tantissimi): Casa di Céline. Sera. Salotto. La ballerina allatta Adèle e guarda con cuore addolorato come il Mostro non sia interessato alla bambina, anzi veda di cattivo gusto l’allattamento continuo a tutte le ore della piccola. Chiacchierando Céline cita, allora, brani di un saggio scritto da Pietro Verri (Manoscritto per Teresa), ne racconta la storia nei dettagli e ne elogia alcuni passaggi. Questo non è un dialogo tra due persone davanti al fuoco. Questo è leggere info su Wikipedia.



Toby Stephens è Mr Rochester nello sceneggiato BBC del 2006

Nero vs Negro
Come già detto in questo romanzo ci sono molte espressioni chiare contro la schiavitù (lo stesso personaggio di Bertha Mason è in realtà un’eroina che ha liberato tutti i suoi schiavi prima di andare in sposa a Rochester e questo è il motivo per cui il Mostro l’ha segregata, rendendola lui non pazza ma mentalmente debole). C’è il personaggio di Toussaint che fa una sorta di fratello maggiore a Sophie e che vive sulla sua pelle (letteralmente!) le angherie del suo tempo (nonostante la dolce e nobile Céline).
Tutto condivisibile… tranne il linguaggio.
Siamo nel 1830-1837 (date citate all’infinito). La parola Negro praticamente non esiste. Solo ‘Nero’. Se si scrive un romanzo storico bisogna contestualizzarlo. Nel 1830 in Francia e ovunque nel mondo non si usava la parola Nero (lemma inserito con questo significato nel vocabolario molto, ma molto tempo dopo) e si utilizzava Negro.
Troppo forte per i lettori di oggi? Non importa. Voglio dire… scrivi un romanzo contro il razzismo, magari usando questa parola potresti suscitare maggior condivisione da parte del lettore.
Ci sono numerosi esempi. Ne cito uno. A pag. 68 l’illetterata e sguaiata Madame Annaud (una vipera tale che alla morte della madre di Sophie ruba alla piccola tutti i suoi soldi per rifarsi delle candele accese per la morta, del valore di pochi scellini) se ne esce con: “La mocciosa se n’è stata in giro tutto il giorno con questo pagliaccio dal muso nero, invece di…”. Pagliaccio dal muso nero? Davvero una Madame Annaud dell’epoca avrebbe usato una locuzione del genere? Impossibile. Avrebbe utilizzato un’imprecazione ben più violenta e sarebbe stato giusto e normale usarla. Non vuoi farlo? Beh, allora, inserisci una nota all’inizio e spiega la decisione di non voler contestualizzare il linguaggio.

Omaggi letterari… fuori contesto
Nel corso del romanzo, come detto, l’autrice fa molti omaggi letterari. Cita in continuazione Victor Hugo e Rossini. Non disdegna Jane Austen (che però per lei sembra aver scritto solo L’abbazia di Northanger) e Jonathan Swift (di cui, invece, non parla solo de I viaggi di Gulliver), e riprende qualche favola francese. Nei ringraziamenti, inoltre, dice di aver preso “in prestito” alcuni personaggi di Dickens da due romanzi posteriori al 1830 (Tempi difficili e Una storia tra due città), senza tuttavia dire quali…
Da par mio, ho riscontrato due citazioni che mi sono parse assai fuori contesto temporale. La prima a pag. 165, quando racconta che Sophie come musica conosceva solo quella “dell’organetto del vecchio Vitali, che arrivava a Montmartre ogni primavera con la sua scimmia e i suoi cani addestrati”. Richiamo evidente a Senza famiglia (Remì) di Hector Malot (1830-1907). Il libro tuttavia è stato scritto nel 1878. Sebbene il romanzo si svolga per un arco temporale abbastanza lungo (ma non lunghissimo), la storia è ambientata nella seconda metà circa dell’Ottocento e Vitali (che prima che fare il guitto era un cantante lirico di gran successo) di certo nel 1830 non poteva trovarsi a Montmartre (e già vecchio, tra l’altro).



Vitali con Remì in un'immagine nell'anime del 1977

Secondo, ancora peggiore. Ci troviamo a Londra. Kensington Gardens. Qui la buona, leggiadra e generosa Adèle si ferma di fronte alla Serpentine e dice di vedere un piccolo bambino di nome Peter, che naviga su una foglia usando la maglietta come vela. Un richiamo non troppo celato a Peter Pan, come se Adèle lo avesse visto e conosciuto molto prima di Barrie. Per chi non lo sapesse, il libro su Peter Pan è stato scritto nel 1904 e l’ambientazione è sua contemporanea. Perché quindi fare questa citazione? Dimostrare di conoscere il legame tra Peter Pan e questi giardini londinesi (chiunque ci sia stato almeno una volta lo sa, essendoci una statua in loco)? Mostrare la propria cultura? Raccontarci di quanto Adèle sia brava con la fantasia? Boh…



La statua di Peter Pan a Kensington Gardens a Londra. Ru realizzata nel 1912 da Sir George Frampton su commissione dello stesso Barrie (ma forse avrebbe dovuto chiedere consiglio ad Adèle?!)

Il valzer!!!
Tra le varie citazioni storiche di cui è disseminato il romanzo, vi sono vari paragrafi dedicati alla Regina Vittoria, che pur essendo nobile piace alla protagonista perché donna (?).
Tra le varie dissertazioni storiche a pag. 415 leggo “Ieri a Londra, nell’Abbazia di Westmister, a un anno dalla sua ascesa al trono, è stata solennemente incoronata la regina Victoria. Gli inglesi stanno festeggiando l’avvenimento già da una settimana. Mangiano, bevono e ballano nella case e per le strade. E sai qual è il ballo per il quale adesso tutti impazziscono? Il valzer, di cui due anni fa, ti ricordi, non volevano sentir parlare e accusavano noi francesi di abbandonarci a una danza scomposta ed impudica”.
Che cosa?????
Il valzer a Londra solo nel 1838?
Esso arrivò molto tempo prima (la data ufficiale sembra sia l’11 maggio 1812) e lo si ballava regolarmente ai balli (anche se le debuttanti dovevano avere il permesso di farlo)! Questo lo sa veramente chiunque abbia anche solo un’infarinatura del periodo regency!


La Rivoluzione Francese
Per ultimo (ci sarebbero molte altre cose da scrivere, ma non voglio dilungarmi eccessivamente) tocco l’argomento della Rivoluzione Francese, così esaltata in questo romanzo (forse il Dickens di Una storia tra due città a cui sono stati presi in prestito dei personaggi, non sarebbe stato così d’accordo su questa elegia).
La Rivoluzione Francese viene dipinta in questo romanzo in maniera quasi naïf: tutto è meraviglioso, ricco di ideali fantastici e vivificato da personaggi ammirevoli, coraggiosi, pronti al sacrificio. Il Terrore semplicemente non esiste. E se morti ci furono, esse furono giuste, tanto che Sophie (ripeto, una ragazzina di 14 anni, eroina della storia) ad un certo punto proclama con gioia che vorrebbe un’altra Rivoluzione Francese che potesse uccidere tutti i nobili sopravvissuti a quella di 40 anni prima. E tutti i presenti applaudono a questa esclamazione sognando che un giorno o l’altro possa realizzarsi. Ma lo sa la Pitzorno che nel vocabolario italiano c’è una parola ispirata ai tempi bui della Rivoluzione Francese, nello specifico ai fatti del 1792? Il lemma è Settembrizzatore ed ha preso ormai per estensione il significato di (dallo Zanichelli) “Autore di spietati delitti politici”.
So che la Rivoluzione Francese è un argomento storico di grande dibattito, dentro al quale non voglio addentrarmi (io no, ma la Pitzorno evidentemente sì), ma credo che se si ha voglia di narrarlo lo si dovrebbe fare descrivendo con equità quello che accadde in quegli anni e soprattutto non inneggiare in questa maniera subdola alla violenza e alla morte (specialmente in un libro per ragazzi).



Chiudo con una frase di Russeau che viene citata nel romanzo e che forse risponde a molte delle domande che mi sono posta nel corso di questa recensione (e della lettura): “La patria non può sussistere senza la libertà, né la libertà senza la virtù, né la virtù senza i cittadini: avrete tutto se formerete i cittadini. Ora, formare i cittadini non è affare di un giorno”.
Ah… ecco… tutto chiaro.

Nota alla scrittura: il genere è per lo più epistolare. Nelle parti narrative (poche) si passa, tra un capitolo all’altro e senza ragione, da una narrazione da narratore onnisciente ad una narrazione in prima persona di Sophie. Notati errori grammaticali, in primo luogo molte volte gli in luogo di loro.
Lessico usato: semplice. Vocabolario non molto ricco.

L’unico valore positivo che riconosco a questo romanzo è far nascere la voglia di (ri)prendere in mano l’originale e per respirare, infine, una boccata d’aria fresca.



Un'immagine di Jane Eyre (2011)

Letto: 15-28 agosto 2019

Voto: -10 alla trama, -10 alla Pitzorno per aver osato scriverlo, 0 a Valerio Massimo Manfredi per aver commentato questo libro, come si legge sulla copertina, con queste parole “Una storia intensa, un libro ispirato e affascinante. Bianca Pitzorno si impone come un narratore di grande carattere” (come si possa definire un libro ispirato questo…), 10 alle case editrici inglesi che non hanno tradotto (almeno a quanto ho potuto constatare) questo 'capolavoro'…

Stelle mozzafiato: 0

Recensione in arrivo: Lo scialle cinese di Patricia Wentworth

2 commenti:

  1. Oh, mamma! Lo hai distrutto questo libro.

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    1. Te lo avevo detto che posso essere assai pungente se un libro non mi piace!
      Questo, inoltre, non solo non mi è piaciuto ma l'ho anche trovato assai inappropriato perché ha osato distruggere un capolavoro mondiale dando, di fatto, dell'incapace a Charlotte Bronte...

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