La bambinaia francese
di Bianca Pitzorno
Dati tecnici:
Casa Editrice: Mondadori
Pagine: 497
Anno: 2004
Genere: romanzo epistolare; fanfiction
Genere: romanzo epistolare; fanfiction
Trama:
Sophie Gravillon ha nove anni, è orfana di padre (morto
durante “Le Tre Gloriose” del 1830) e vive a Parigi in un sottotetto umido e
freddo assieme alla madre ricamatrice, assai malata. Presto la sorte sembra
peggiorare, perché la madre muore di stenti mentre Sophie è fuori per una
commissione. Per sua fortuna viene a salvarla Céline Varens (ballerina
momentaneamente lontana dalle scene perché divenuta mamma da pochi mesi di
Adèle), per cui la madre aveva cucito delle meravigliose camicie.
La
vita presso la villa di Céline è ricca di emozioni per la giovane Sophie,
nonostante la cattiveria del marito della ballerina, (Mister R. – perché lo
chiamano così?), anche perché Céline, fingendo con il marito di aver accolto
Sophie come cameriera, in realtà la manda a scuola dal Cittadino Marchese (un
nobile votato agli ideali della Rivoluzione Francese) assieme ad un ragazzo
giamaicano, Tussaint, regalato a Céline dal perfido marito come schiavo ma che
la dolce e premurosa Céline ha liberato (senza dirlo al marito).
Tutto
sembra procedere nel migliore dei modi per Sophie e la sua nuova, accogliente
famiglia, ma tutto viene stravolto prima con l’abbandono del tetto coniugale
del marito di Céline (che rivela di non essere mai stato un vero marito e che
il matrimonio non era valido) e poi con la morte del Cittadino Marchese e
l’arrivo degli orribili nipoti che, lontani dagli ideali della Rivoluzione
Francese, non solo cacciano dalla casa del marchese tutti (smantellando anche
la sua scuola) ma fanno pure imprigionare l’innocente e leggiadra Céline,
accusandola di circonvenzione di incapace (il Cittadino Marchese aveva lasciato
alla virtuosa ballerina molti soldi e un paio di case).
In
questa situazione di estrema tensione per tutti, torna il mostro: il marito-non
marito di Céline, che non degnando di uno sguardo la moglie-non moglie viene a
salvare Adèle per portarla in Inghilterra nella sua dimora, anche se non crede
affatto (o almeno dice di non credere) di esserne il padre.
Sophie
si sconvolge a questa prospettiva: che la povera Adèle possa essere accolta dal
mostro in un ricco castello dove avrebbe avuto a sua disposizione istruzione
grazie ad un’istitutrice privata, attenzioni e soprattutto un caldo tetto sulla
testa, quando invece a Parigi, qualora in futuro fossero stati risolti i
problemi, la piccola sarebbe potuta esse felice con la missionaria Céline (che
però al momento è in prigione e a nessuno è concesso vedere e la povera Adèle
vive in una soffitta maltrattata dai proprietari). Sophie si propone, quindi,
di seguire Adèle come bambinaia, fingendosi illetterata. Arriva così a casa del
Mostro: Thornfield Hall…
Commento:
Lo avete capito? Avete riconosciuto i nomi? Siete riusciti a fare i
collegamenti?
Mister
R.? (nominato solo a quasi metà romanzo come Rochester?)
Céline
Varens?
Adèle?
Thornfield
Hall?
Sì…
ci state arrivando… Si tratta esattamente dei personaggi di Jane Eyre di
Charlotte Brontë…
Ma
non considerate La bambinaia francese
come una sorta di prequel o spin-off, come ne sono sorti a centinaia per le
opere di Jane Austen. No. Si tratta di un attacco violento alla storia. Di un
bombardamento continuo.
Perché
la Pitzorno ha osato farlo? Nei ringraziamenti scrive che La bambinaia francese nasce come risposta alla doppia dichiarazione
di disistima che Charlotte Brontë ha espresso nei confronti del carattere delle
donne francesi e “sugli adulti che si
inteneriscono eccessivamente dell’infanzia” (citazioni di cui però non dice
il contesto), e, visto che lei invece “ha
un debole per i bambini e una grande ammirazione per il carattere per la
cultura dei francesi, specie quelli dell’Ottocento” ha dato vita a questa
storia.
Ahaaaaa…
Ripeto Ahaaaaa… Ma scriviti una storia tua ambientata in Francia, esalta la
Rivoluzione Francese (poi torniamo su questo punto), descrivi le attricette
come le donne più buone e sante del mondo, elargisci consigli sull’amore libero
(l’ultima pagina del romanzo è da brividi riguardo a questo argomento) e sulla
meraviglia del divorzio condendolo con frasi ad affetto contro la schiavitù
così sembri nel giusto… ma fallo con una storia TUA. Non prendere in prestito
uno dei capolavori della letteratura mondiale, per poi farlo a pezzi, facendo
fare capriole narrative ai personaggi….
Avevo questo libro da anni, ma non lo avevo mai preso in considerazione.
Dalla trama mi sembrava noioso. Tuttavia mi era stato recentemente suggerito da
alcune persone definendomelo bellissimo e quindi lo avevo inserito tra i libri
‘da leggere a breve’. Ora, sinceramente, mi chiedo: Perché è piaciuto?
Possibile
che non conoscano l’opera della Brontë da non accorgersi dello scempio fatto?
Credo che sia l’unica risposta possibile (anche se le persone sono esperte di period), perché chiunque abbia letto (o
visto) Jane Eyre non può applaudire
questo romanzo (e sto al momento parlando solo della trama, poi mi soffermerò
sullo stile). Tutti i personaggi vengono stravolti: da Rochester alla “cara e generosa” Céline, da Adèle (che
finge solo di essere viziata e superficiale, in realtà ha la saggezza di
un’adulta!) alla stessa Jane Eyre (mostrata solo come un’istitutrice severa e
bacchettona), fino a Bertha Mason (che per magia non è affatto pazza, ma solo
vittima del mostro Rochester). Per non parlare dell’arco narrativo che in
questo modo viene stravolto: è solo grazie a Jane Eyre che Rochester cura le
proprie ferite e riesce a rivedere la luce. Se nella sua vita avesse incontrato
una santa come la Céline della Pitzorno, il ruolo salvifico di Jane Eyre
verrebbe completamente a mancare (e di fatto crollerebbe tutta la struttura
narrativa del romanzo).
Un'illustrazione di come era realmente la pazza Bertha Mason
Probabilmente
ci sarà stata euforia nel far combaciare tutti gli ingranaggi (mettendo qualche
bugia detta da qualcuno di qua e qualche impressione sbagliata di qualcun altro
di là), in modo tale che quello che la Brontë fa ‘sembrare’ ha invece una
spiegazione assai diversa (in questo mi fa tornare in mente un libro
bellissimo, La quarta verità di Iain
Pears, in cui uno stesso evento viene raccontato da quattro persone ma solo una
versione è quella corretta – esaltazione delle apparenze e dei significati
diversi che si possono dare ad uno stesso evento).
Ci
troviamo, tuttavia, di fronte ad un problema: Charlotte Brontë. Il romanzo non
è una narrazione giornalistica di un evento, in cui la Brontë riferisce dei
fatti fornendosi di alcune fonti, che però l’hanno ingannata o da cui lei ha
tratto conclusioni sbagliate. Jane Eyre
è un romanzo che la Brontë ha sentito scorrere dentro alle vene e che ha
narrato facendolo uscire dal pennino. Lei SAPEVA la storia e se parla male di
Céline è perché Céline così era, non perché l’autrice è stata fuorviata da
Rochester. La storia è questa. Può non piacere (siamo nati liberi), ma ciò non
toglie che la ‘verità’ della storia è quella. Stravolgerla è un atto di
violenza enorme verso uno scrittore (credo che non vi sia nulla di peggiore che
un autore possa subire).
Libro per ragazzi?
Ed
ora, risolto l’argomento sullo spudoratezza di appropriarsi della storia di
un’altra rimaneggiandola, passiamo allo stile.
Il
libro viene inserito in una collana per ragazzi (la Pitzorno è una nota
scrittrice per ragazzi, sebbene non tutti siano d’accordo con alcune tematiche
narrative, ma non entriamo nel merito), tanto che come sito internet di
riferimento scritto sul libro è ragazzi.mondadori.com.
Pur
essendo la protagonista una ragazza (Sophie, che per la maggior parte della
storia ha circa 14-15 anni, anche se si fa passare per diciottenne), lo stile è
pomposo e assai noioso. La Pitzorno, infatti, nel corso di praticamente tutta
la narrazione cerca di sciorinare le informazioni che ha sull’epoca, dal
balletto alla letteratura, dall’opera alla storia, infarcendo i dialoghi di
riferimenti ad altri testi e a richiami dei contemporanei rendendo la
dialettica pesante e di fatto improponibile, perché nessuno al mondo parlerebbe
in questo modo. Posso fare un esempio (ma ce ne sono davvero tantissimi): Casa
di Céline. Sera. Salotto. La ballerina allatta Adèle e guarda con cuore
addolorato come il Mostro non sia interessato alla bambina, anzi veda di
cattivo gusto l’allattamento continuo a tutte le ore della piccola.
Chiacchierando Céline cita, allora, brani di un saggio scritto da Pietro Verri
(Manoscritto per Teresa), ne racconta
la storia nei dettagli e ne elogia alcuni passaggi. Questo non è un dialogo tra
due persone davanti al fuoco. Questo è leggere info su Wikipedia.
Toby Stephens è Mr Rochester nello sceneggiato BBC del 2006
Nero vs Negro
Come
già detto in questo romanzo ci sono molte espressioni chiare contro la
schiavitù (lo stesso personaggio di Bertha Mason è in realtà un’eroina che ha
liberato tutti i suoi schiavi prima di andare in sposa a Rochester e questo è
il motivo per cui il Mostro l’ha segregata, rendendola lui non pazza ma
mentalmente debole). C’è il personaggio di Toussaint che fa una sorta di
fratello maggiore a Sophie e che vive sulla sua pelle (letteralmente!) le
angherie del suo tempo (nonostante la dolce e nobile Céline).
Tutto
condivisibile… tranne il linguaggio.
Siamo
nel 1830-1837 (date citate all’infinito). La parola Negro praticamente non
esiste. Solo ‘Nero’. Se si scrive un romanzo storico bisogna contestualizzarlo.
Nel 1830 in Francia e ovunque nel mondo non si usava la parola Nero (lemma
inserito con questo significato nel vocabolario molto, ma molto tempo dopo) e
si utilizzava Negro.
Troppo
forte per i lettori di oggi? Non importa. Voglio dire… scrivi un romanzo contro
il razzismo, magari usando questa parola potresti suscitare maggior
condivisione da parte del lettore.
Ci
sono numerosi esempi. Ne cito uno. A pag. 68 l’illetterata e sguaiata Madame
Annaud (una vipera tale che alla morte della madre di Sophie ruba alla piccola
tutti i suoi soldi per rifarsi delle candele accese per la morta, del valore di
pochi scellini) se ne esce con: “La
mocciosa se n’è stata in giro tutto il giorno con questo pagliaccio dal muso
nero, invece di…”. Pagliaccio dal muso nero? Davvero una Madame Annaud
dell’epoca avrebbe usato una locuzione del genere? Impossibile. Avrebbe
utilizzato un’imprecazione ben più violenta e sarebbe stato giusto e normale
usarla. Non vuoi farlo? Beh, allora, inserisci una nota all’inizio e spiega la
decisione di non voler contestualizzare il linguaggio.
Omaggi letterari… fuori contesto
Nel
corso del romanzo, come detto, l’autrice fa molti omaggi letterari. Cita in
continuazione Victor Hugo e Rossini. Non disdegna Jane Austen (che però per lei
sembra aver scritto solo L’abbazia di
Northanger) e Jonathan Swift (di cui, invece, non parla solo de I viaggi di Gulliver), e riprende qualche
favola francese. Nei ringraziamenti, inoltre, dice di aver preso “in prestito” alcuni personaggi di Dickens da due romanzi posteriori al 1830 (Tempi
difficili e Una storia tra due città),
senza tuttavia dire quali…
Da
par mio, ho riscontrato due citazioni che mi sono parse assai fuori contesto
temporale. La prima a pag. 165, quando racconta che Sophie come musica
conosceva solo quella “dell’organetto del
vecchio Vitali, che arrivava a Montmartre ogni primavera con la sua scimmia e i
suoi cani addestrati”. Richiamo evidente a Senza famiglia (Remì) di Hector Malot (1830-1907). Il libro
tuttavia è stato scritto nel 1878. Sebbene il romanzo si svolga per un arco
temporale abbastanza lungo (ma non lunghissimo), la storia è ambientata nella
seconda metà circa dell’Ottocento e Vitali (che prima che fare il guitto era un
cantante lirico di gran successo) di certo nel 1830 non poteva trovarsi a
Montmartre (e già vecchio, tra l’altro).
Vitali con Remì in un'immagine nell'anime del 1977
Secondo,
ancora peggiore. Ci troviamo a Londra. Kensington Gardens. Qui la buona,
leggiadra e generosa Adèle si ferma di fronte alla Serpentine e dice di vedere
un piccolo bambino di nome Peter, che naviga su una foglia usando la maglietta
come vela. Un richiamo non troppo celato a Peter Pan, come se Adèle lo avesse
visto e conosciuto molto prima di Barrie. Per chi non lo sapesse, il libro su
Peter Pan è stato scritto nel 1904 e l’ambientazione è sua contemporanea.
Perché quindi fare questa citazione? Dimostrare di conoscere il legame tra
Peter Pan e questi giardini londinesi (chiunque ci sia stato almeno una volta
lo sa, essendoci una statua in loco)? Mostrare la propria cultura? Raccontarci
di quanto Adèle sia brava con la fantasia? Boh…
La statua di Peter Pan a Kensington Gardens a Londra. Ru realizzata nel 1912 da Sir George Frampton su commissione dello stesso Barrie (ma forse avrebbe dovuto chiedere consiglio ad Adèle?!)
Il valzer!!!
Tra
le varie citazioni storiche di cui è disseminato il romanzo, vi sono vari
paragrafi dedicati alla Regina Vittoria, che pur essendo nobile piace alla
protagonista perché donna (?).
Tra
le varie dissertazioni storiche a pag. 415 leggo “Ieri a Londra, nell’Abbazia di Westmister, a un anno dalla sua ascesa
al trono, è stata solennemente incoronata la regina Victoria. Gli inglesi
stanno festeggiando l’avvenimento già da una settimana. Mangiano, bevono e
ballano nella case e per le strade. E sai qual è il ballo per il quale adesso
tutti impazziscono? Il valzer, di cui due anni fa, ti ricordi, non volevano
sentir parlare e accusavano noi francesi di abbandonarci a una danza scomposta
ed impudica”.
Che
cosa?????
Il
valzer a Londra solo nel 1838?
Esso
arrivò molto tempo prima (la data ufficiale sembra sia l’11 maggio 1812) e lo
si ballava regolarmente ai balli (anche se le debuttanti dovevano avere il
permesso di farlo)! Questo lo sa veramente chiunque abbia anche solo
un’infarinatura del periodo regency!
La Rivoluzione Francese
Per
ultimo (ci sarebbero molte altre cose da scrivere, ma non voglio dilungarmi
eccessivamente) tocco l’argomento della Rivoluzione Francese, così esaltata in
questo romanzo (forse il Dickens di Una
storia tra due città a cui sono stati presi in prestito dei personaggi, non
sarebbe stato così d’accordo su questa elegia).
La
Rivoluzione Francese viene dipinta in questo romanzo in maniera quasi naïf: tutto
è meraviglioso, ricco di ideali fantastici e vivificato da personaggi
ammirevoli, coraggiosi, pronti al sacrificio. Il Terrore semplicemente non
esiste. E se morti ci furono, esse furono giuste, tanto che Sophie (ripeto, una
ragazzina di 14 anni, eroina della storia) ad un certo punto proclama con gioia
che vorrebbe un’altra Rivoluzione Francese che potesse uccidere tutti i nobili
sopravvissuti a quella di 40 anni prima. E tutti i presenti applaudono a questa
esclamazione sognando che un giorno o l’altro possa realizzarsi. Ma lo sa la Pitzorno che nel vocabolario italiano c’è una parola ispirata ai tempi bui
della Rivoluzione Francese, nello specifico ai fatti del 1792? Il lemma è Settembrizzatore ed ha preso ormai per
estensione il significato di (dallo Zanichelli) “Autore di spietati delitti politici”.
So
che la Rivoluzione Francese è un argomento storico di grande dibattito, dentro
al quale non voglio addentrarmi (io no, ma la Pitzorno evidentemente sì), ma
credo che se si ha voglia di narrarlo lo si dovrebbe fare descrivendo con
equità quello che accadde in quegli anni e soprattutto non inneggiare in questa
maniera subdola alla violenza e alla morte (specialmente in un libro per
ragazzi).
Chiudo
con una frase di Russeau che viene citata nel romanzo e che forse risponde a
molte delle domande che mi sono posta nel corso di questa recensione (e della
lettura): “La patria non può sussistere
senza la libertà, né la libertà senza la virtù, né la virtù senza i cittadini:
avrete tutto se formerete i cittadini. Ora, formare i cittadini non è affare di
un giorno”.
Ah…
ecco… tutto chiaro.
Nota
alla scrittura: il genere è per lo più epistolare. Nelle parti narrative
(poche) si passa, tra un capitolo all’altro e senza ragione, da una narrazione
da narratore onnisciente ad una narrazione in prima persona di Sophie. Notati
errori grammaticali, in primo luogo molte volte gli in luogo di loro.
Lessico
usato: semplice. Vocabolario non molto ricco.
L’unico
valore positivo che riconosco a questo romanzo è far nascere la voglia di
(ri)prendere in mano l’originale e per respirare, infine, una boccata d’aria
fresca.
Un'immagine di Jane Eyre (2011)
Letto: 15-28
agosto 2019
Voto: -10 alla trama, -10 alla Pitzorno per aver osato scriverlo, 0 a Valerio Massimo
Manfredi per aver commentato questo libro, come si legge sulla copertina, con
queste parole “Una storia intensa, un
libro ispirato e affascinante. Bianca Pitzorno si impone come un narratore di
grande carattere” (come si possa definire un libro ispirato questo…), 10
alle case editrici inglesi che non hanno tradotto (almeno a quanto ho potuto
constatare) questo 'capolavoro'…
Stelle mozzafiato: 0
Oh, mamma! Lo hai distrutto questo libro.
RispondiEliminaTe lo avevo detto che posso essere assai pungente se un libro non mi piace!
EliminaQuesto, inoltre, non solo non mi è piaciuto ma l'ho anche trovato assai inappropriato perché ha osato distruggere un capolavoro mondiale dando, di fatto, dell'incapace a Charlotte Bronte...