Ho ascoltato e riascoltato il discorso di Leone XIV agli operatori della comunicazione. Già in partenza mi è piaciuto che non fosse etichettato solo ‘ai giornalisti’, ma che avesse un significato molto più ampio: ‘operatori della comunicazione’ coinvolge tutti coloro che svolgono attività comunicative (in larga scala possiamo inserire chi produce materiale visivo o i montatori, per non parlare degli stessi scrittori, in piccola scala tutti coloro che attuano una comunicazione verso gli altri, fosse pure solo una chat aziendale).
L'apertura stessa del discorso è estremamente forte e specifica chiaramente tutti i mali che il giornalismo sta attraversando. Leone XIV ricorda infatti che ciascuno è chiamato
"all’impegno di portare avanti una comunicazione diversa, che non ricerca il consenso a tutti i costi, non si riveste di parole aggressive, non sposa il modello della competizione, non separa mai la ricerca della verità dall’amore con cui umilmente dobbiamo cercarla. La pace comincia da ognuno di noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri; e, in questo senso, il modo in cui comunichiamo è di fondamentale importanza: dobbiamo dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini, dobbiamo respingere il paradigma della guerra".
Questo discorso richiama in maniera viscerale il credo profondo di Sant'Agostino e quell'idea che ognuno di noi può essere un "Segno di Pace" con i propri gesti e le proprie parole, creando distensione dove impera la tensione. Ancor di più chi opera nella comunicazione, "che non è solo trasmissione di informazioni, ma è creazione di una cultura, di ambienti umani e digitali che diventino spazi di dialogo e di confronto".
Ha proseguito parlando di libertà di stampa e di espressione, tema che mi ha colpito moltissimo perché proprio una settimana fa sono andata al corso formativo ‘Ossigeno. Rischi e doveri dei cronisti’.
"Permettetemi allora di ribadire oggi la solidarietà della Chiesa ai giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità, e con queste parole anche chiederne la liberazione di questi giornalisti incarcerati. La Chiesa riconosce in questi testimoni – penso a coloro che raccontano la guerra anche a costo della vita – il coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere. La sofferenza di questi giornalisti imprigionati interpella la coscienza delle Nazioni e della comunità internazionale, richiamando tutti noi a custodire il bene prezioso della libertà di espressione e di stampa".
Il problema della libertà di stampa è molto più di ampio di quanto non si possa pensare. Al sopracitato corso si sono approfonditi vari aspetti. Non si è parlato solo dei giornalisti che vengono uccisi nel corso del loro operato (1.763 dal 1993 ad oggi) ma anche di tutti quei cronisti, reporter, blogger e free lance che sono vittime di minacce, intimidazioni, querele legali, abusi.
A questo si aggiunge quanto detto da Stefano Ferrante, segretario dell'Associazione Stampa Romana, che ha sottolineato come le stesse redazioni sono vittime di pressioni che annullano il pensiero critico e il confronto, in cui le narrative non si possono mettere in discussione e non si permette ai cronisti di valutare la complessità (si sono citati, a titolo di esempio, eventi importanti come la guerra Russia-Ucraina o gli avvenimenti a Gaza).
Questo spinge i cronisti ad una censura subdola e invisibile: l'autocensura.
Non ho potuto non apprezzare, inoltre, il campanello d’allarme lanciato contro l’AI (tema già toccato da Monsignor Paglia durante il corso Inside Artificial Intelligence).
"Guardando all’evoluzione tecnologica, questa missione diventa ancora più necessaria. Penso, in particolare, all’intelligenza artificiale col suo potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti, così che possano produrre benefici per l’umanità. E questa responsabilità riguarda tutti, in proporzione all’età e ai ruoli sociali".
L'AI sta viaggiando velocemente, troppo velocemente. Ed è necessario che ognuno di noi si guardi intorno e impari a capire che è necessario gestire questa potenzialità. Specialmente nei confronti dei più giovani.
Infine è arrivata forse la parte più bella ed intensa. La summa di tutto quello che era stato detto fino a quel momento.
"Disarmiamo la comunicazione da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio; purifichiamola dall’aggressività. Non serve una comunicazione fragorosa, muscolare, ma piuttosto una comunicazione capace di ascolto, di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce. Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra. Una comunicazione disarmata e disarmante ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana".
Complessivamente la lezione di Leone XIV mi è sembrata molto forte, anche se raccontata in maniera disarmata e disarmante. Ha sottolineato il compito che gli operatori dovrebbero sempre tenere a mente, ovvero che le parole possono condizionare e indirizzare le mente dei popoli, che meritano una stampa libera per poter essere informati.
Non è forse un caso se, guardando bene, non tutti i giornalisti fossero sereni nell'ascoltare queste parole...
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