Il papiro insanguinato
#10 della serie di Amelia Peabody
di Elizabeth Peters
Dati tecnici:
Titolo originale: The Ape who guards the balance
Traduttrice: Maria Barbara Piccioli
Casa Editrice: Nord
Collana: Narrativa n. 367
Pagine: 463
Anno: 1998 (in Italia nel 2005, l’edizione Nord è del 2009)
Genere: poliziesco period
Trama: Valle dei Re, Egitto. Inverno 1906-1907
Prima di partire dall’Inghilterra per la tradizionale stagione di scavi in Egitto, la famiglia Emerson si trova coinvolta in un tentativo di rapimento di Amelia mentre partecipa ad una manifestazione per il diritto al voto delle donne. In molti sono certi che dietro a questo atto non vi sia altro che l’acerrimo nemico Sethos. Ma è realmente così?
Sventato il rapimento, la famiglia al gran completo arriva a Luxor, dove però Emerson, in continuo scontro con Gaston Maspero, che gestisce la distribuzione degli scavi degli archeologi, si vede assegnare tre tombe minori in un ramo secondario della Valle dei Re: KV3, KV4 e KV5.
Sebbene la stagione sembri molto meno interessante delle precedenti, la situazione si complica quando Ramses, il figlio ormai ventenne di Radcliffe e Amelia, entra in possesso di uno strano, misterioso papiro.
Tra collezionisti senza scrupoli, antiche leggende egizie e fotografi maldestri, la famiglia si troverà sul limite del baratro, anche perché si crea un inaspettato scontro tra Ramses e David, amici fraterni, improvvisamente divisi dai riflessi dorati di capelli fiammeggianti…
Commento: Il Papiro Insanguinato (uscito anche con il titolo Amelia Peabody e il libro dei morti) è il decimo libro (su 18, ma solo 12 sono arrivati in Italia) della saga su Amelia Peabody creata da Elizabeth Peters. Ho letto tutti i nove precedenti (qui si possono leggere la recensione de La maledizione di Nefertiti, Il segreto della tomba d’oro e Pericolo nella Valle dei Re) e ogni volta rimango con l’amaro in bocca. Non mi piace come scrive la Peters, le trame non si capiscono (viene lasciato troppo di non detto, andando invece nei minuziosi dettagli di cose inutili) e in definitiva, una volta finito il romanzo, la trama viene dimenticata molto, ma MOLTO velocemente.
Ramses, David, Nefret:
Ancora una volta, quello che cattura di più è l’amore di Ramses per Nefret e il modo in cui la giovane fanciulla pare non accorgersene, creando anche uno scontro quasi omicida tra Ramses e David (che viene visto da Ramses come rivale a seguito di informazioni estrapolate da conversazioni e frasi mal celate).
I personaggi sono ben delineati e approfonditi. E le pagine a loro dedicate sono le uniche che si leggono con vero piacere. Anche perché David è veramente innamorato di Nefret? O non è forse un’altra la donna che ha rubato il suo cuore? Un amore proibito e impossibile?
La KV 5:
Se ai tempi di Radcliffe Emerson e Amelia Peabody, la KV5 era una tomba praticamente abbandonata perché non sembrava avere nulla di particolare, molto è cambiato a partire dagli Anni Ottanta.
Dopo gli scavi di Howard Carter nel 1902 (e quelli degli Emerson nel 1907-1908) della KV5 si persero praticamente le tracce a causa dei detriti che si accumularono, fino a quando, nel 1984-1985 l’egittologo Kent R. Weeks, sfruttando sistemi sonar e georadar, individuò anomalie che indicavano la presenza di ampi spazi vuoti nel sottosuolo.
I lavori iniziarono nel 1986-1987 ma solo nel 1995 si giunse all’annuncio pubblico dell’apertura di un passaggio che conduceva a circa venti locali. Tra questi venne rinvenuto, peraltro, un rilievo rappresentante il dio Osiride (caso unico nella Valle), e un corridoio trasversale che indicava come la struttura dei venti locali si ripetesse, molto verosimilmente, specularmente anche nella parte non ancora scavata. Considerando il gran numero di locali, il numero di figli di Ramses II di cui sono noti i nomi (52), la presenza, riferita da Burton, di un cartiglio di Ramses II all’ingresso della tomba (oggi non più visibile), nonché di un ostrakon rinvenuto da Carter all’ingresso facente riferimento a Meriatum, figlio del re, la KV5 è stata considerata come la sepoltura dei figli di Ramses II. Gli scavi proseguirono e nel 2006 i locali rinvenuti, ma non ancora del tutto liberati dai detriti erano oltre 90; erano circa 130 nel 2006 e, ad oggi il numero è salito ad oltre 150 (non tutti liberati).
Tutto questo sarebbe stato bello che venisse accennato, perché sicuramente la Peters lo sapeva. Ma se lo ha fatto, come sempre, lo ha lasciato sottinteso e quindi nessuno lo ha capito.
(Sembra che il divertimento della Peters sia nel non far capire niente ai lettori e che si crogioli all’idea che rimangano nella mancanza di conoscenza. Inaccettabile!).
Doppio #UnescoBook – Moët & Chandon:
Se ovviamente tutti i libri della saga di Amelia Peabody sono degli #UnescoBook perché la Valle dei Re è entrata nel Patrimonio nel 1979, in questo libro c’è un particolare che lo rende un doppio #UnescoBook.
Come prova per un delitto, infatti, viene ritrovata una bottiglia rotta di color verde e parte di un’etichetta che attesta che si trattava di una bottiglia di Moët & Chandon.
Incuriosita, vado a studiarne la storia e scopro che l’origine del marchio risale al 1743 quando Claude Moët cominciò a trasportare vini dalla regione della Champagne-Ardenne a Parigi. Il regno di Luigi XV coincise con un grande aumento della richiesta di vino frizzante. Moët si espanse rapidamente e alla fine del XVIII secolo esportava in tutta Europa e negli Stati Uniti d’America. Il nipote di Claude, Jean-Remy Moët, portò la società a un altissimo livello di catering, servendo clientela d’élite come Thomas Jefferson e Napoleone Bonaparte. Il nome Chandon fu aggiunto quando Jean-Remy passò metà della società al genero Pierre-Gabriel Chandon nel 1832, e metà a suo figlio Victor Moët.
L’idea di uno champagne invecchiato arrivò nel 1840.
Il fatto che una vittima a livello basso della scala sociale abbia una bottiglia di tale importanza, guiderà molto le indagini.
E l’Unesco?
Nel 2005 le colline, le aziende e le cantine dello Champagne sono diventate patrimonio dell’Umanità per la testimonianza dello “sviluppo di un’attività artigianale molto specializzata che è diventata un’impresa agroindustriale”.
Complessivamente si tratta di un libro che avrebbe molti spunti interessanti, se fosse stato scritto meglio. Il fatto che sia stato nominato nel 1998 agli Agatha Award come miglior romanzo non fa cambiare la mia impressione. Elizabeth Peters non sa scrivere.
Letto: 11-30 agosto 2022
Voto: 5 al libro, 3 allo stile o alla traduzione, 6 alla copertina, 0 alle case editrici che comunque, se iniziate una saga, finitela!
Stelle mozzafiato: **
Recensione in arrivo: Il flagello di Horus di Elizabeth Peters
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