lunedì 30 dicembre 2024

#Teatro - 'Aggiungi un posto a tavola', musical volgare e irriverente. Terribile.

Per il cinquantesimo anniversario dello spettacolo 'Aggiungi un posto a tavola', celeberrima commedia musicale firmata da Garinei e Giovannini con Iaia Fiastri, ispirata dal romanzo Dopo di me il diluvio di David Forrest, il Teatra Brancaccio ha presentato una nuova versione con Giovanni Scifoni (don Silvestro), Lorella Cuccarini (Consolazione) e Sofia Panizzi (Clementina).

Lo spettacolo è venduto come "una favola d'amore", la "commedia musicale della mia infanzia", "uno degli spettacoli più amati dagli italiani", capace di "emozionare il pubblico di ogni generazione", tanto che ci sono varie offerte per acquistare biglietti pacchetto 'famiglia'.
Ebbene. Sfatiamo un mito. Non è così.
'Aggiungi un posto a tavola', almeno nella versione proposta al Brancaccio e diretta da Marco Simeoli (che interpreta anche il Sindaco), è una commedia fastidiosamente irriverente e di una volgarità che lascia senza parole.

Sì, la canzone 'Aggiungi un posto a tavola' è carina, orecchiabile, coinvolgente. E' divenuta parte dell'immaginario collettivo italiano, ma di certo un musical non è una canzone. Il resto è quasi disgustoso e soprattutto NON ADATTO AI BAMBINI. Mi domando se esiste un ente a difesa dei minori che possa intervenire per rendere lo spettacolo vietato ai minori di 12 anni.

Ho parlato di volgarità. Per quasi l'intera sua durata si fanno cenni continui a sesso, accoppiamenti, seduzioni (un po' come se fosse un cinepanettone). Ma non è unicamente questo. E' il modo in cui tutto questo viene presentato.
La giovane Sofia Panizzi, per esempio, sembra non avere idea della differenza tra seduzione e volgarità.
Clementina dovrebbe essere una giovane innocente, innamorata di don Silvestro, che cerca di attirare l'attenzione del parroco. Questo, tuttavia, si risolve solo in movenze discinte, cosce mostrate ad ogni respiro e provocazioni volgari dall'inizio alla fine. 
Ma di certo la volgarità non si ferma qui. Le ballerine di scena sono solo capaci di passi più sguaiati che accattivanti, mentre Francesco Zaccaro (Toto) è quasi inguardabile per due terzi dello spettacolo, con richiami più che velati al suo rapporto carnale con Consolazione e atti sessuali simulati.
Per assurdo Consolazione, che dovrebbe essere il personaggio più torbido della storia, è invece recitato in maniera più sobria (ma questo perché Lorella Cuccarini è di certo più preparata ed esperta del resto del cast).

Per quanto riguarda l'irriverenza, è un insulto alla religione cattolica praticamente dalla prima scena e mi domando come Giovanni Scifoni, che si dichiara cattolico e che nel 2021 ha detto all'Avvenire: "Io provengo da una famiglia neocatecumentale e la fede è un dono che i miei genitori mi hanno consegnato", abbia potuto interpretare questa storia in cui Dio è rappresentato come poco più che una macchietta, non esiste alcuna sacralità (anche il culto di san Crispino è presentato come una ridicola credenza popolare) e lo stesso don Silvestro non ha nulla che possa collegarsi ad un uomo che ha fatto una scelta di fede (eppure Scifoni avrebbe dovuto aver conosciuto vari parroci nel corso della sua vita di fede a cui ispirarsi nei gesti, nei toni, nelle movenze...).

Quello che più mi ha dato fastidio dello spettacolo è stato il saluto finale, con gli attori che si sono presentati sul palco per prendere gli applausi.
La sala era piena di bambini e non vi era uno solo attore che si preoccupava (o si rendeva conto) del fatto che quello che avevano proposto era uno spettacolo inappropriato ai giovani spettatori e stavano solo lì a godersi gli applausi degli adulti.
Lo scopo dell'arte è quello di trascinare gli spiriti verso l'alto. Gli artisti, per citare Giovanni Paolo II, dovrebbero essere "geniali costruttori di bellezza".
Qui non vi è nulla di bello.
Qui c'è un abbassamento al brutto e al torbido, venendo meno proprio a quello a cui l'artista è chiamato nel suo ruolo, ovvero, sempre citando Giovanni Paolo II: "chi avverte in sé questa sorta di scintilla divina che è la vocazione artistica - di poeta, di scrittore, di pittore, di scultore, di architetto, di musicista, di ATTORE - avverte al tempo stesso l'obbligo di non sprecare questo talento, ma di svilupparlo, per metterlo al servizio del prossimo e di tutta l'umanità".

Questo era palesemente assente durante lo spettacolo di Aggiungi un posto a tavola. Non solo nell'interpretazione del testo, ma anche del compiacimento finale in cui non vi era presente nessun senso di consapevolezza della bassezza e della volgarità del prodotto proposto.

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