martedì 12 aprile 2022

#Libri 'Sei ragazze sotto rete' (1971) di Annamaria Ferretti, un inno (mancato) alla pallavolo

 Sei ragazze sotto rete
di Annamaria Ferretti

Dati tecnici:
Casa Editrice: Edizioni Capitol Bologna
Collana: Betty n. 37
Pagine: 154
Anno: del 1971 (la mia edizione è del 1973)
Genere: libro per giovinette

 


Trama: Anni Settanta. Firenze, Italia / Dubrovnik, Jugoslavia
La squadra femminile di pallavolo San Genesio vince un torneo nazionale e si qualifica per un campionato europeo che si svolgerà a Dubrovnik, in Jugoslavia.
A causa di due defezioni dell’ultimo momento, la squadra è composta da solo sei giocatrici, pronte a dare battaglia per vincere contro le rappresentative di Francia, Spagna e, ovviamente, di casa.
Le sei ragazze, guidate dall’allenatore Alberto e dalla preparatrice atletica Carla, vivono l’avventura come in un sogno.
E quasi un sogno diventa, in effetti, quando una signora del posto invita l’intera squadra per un party al termine del campionato.
Tra tradizione slave, maschere teatrali, promesse difficili da mantenere e uno sguardo verso il futuro, le sei giocatrici imparano a crescere, a dare se stesse per gli altri e ad assumersi le proprie responsabilità, perché, si sa, la pallavolo è una metafora di vita…


Carla parla con chi ha portato l'invito per la cena misteriosa

Commento:
Lessi questo libro tanti anni fa, prendendolo alla biblioteca scolastica delle scuole medie. Ritrovandolo in un mercatino, l’ho acquistato per pochi euro. Non mi rammentavo nulla della trama, ma mi ricordavo che mi era piaciuto.
All’epoca la professoressa di italiano non era stata molto entusiasta della mia scelta. Lei preferiva che io prendessi libri molto più pesanti per le mie letture, ma io non ero molto d’accordo, perché sostenevo (e sostengo) che leggere deve essere un piacere, non un dovere.
Riprendendo in mano questo romanzo a molti anni di distanza, però, sarei tentata di darle ragione. Si tratta di un libro molto particolare, che, tuttavia si trova al di sotto del valore di altra letteratura per giovinette (per intenderci non vale neppure un’unghia della maggior parte dei romanzi pubblicati nella collana La Melagrana di Baldini & Castoldi né è all’altezza della serie Flirts della Malipiero – di entrambe ho recensito vari titoli in questo blog).
Ma come sempre procediamo con ordine e scopriamo chi è Annamaria Ferretti.


La squadra spagnola

Chi è Annamaria Ferretti?
Trovare informazioni su scrittrici italiane di quell’epoca è praticamente impossibile (mi è capitato sia con quelle de La Melagrana che con praticamente tutte quelle di Flirts), e quindi per sapere chi sia la Ferretti bisogna in primo luogo affidarsi alla descrizione scritta nel libro, che così recita:
“E’ tra le interpreti più efficaci del mondo giovanile moderno. Ha pubblicato numerosi romanzi (…) che hanno rivelato appieno il temperamento, la sensibilità, lo stile vigoroso, il sereno e positivo ottimismo di questa scrittrice”.
In sintesi non dice niente. Non sappiamo neppure di dov’è, né quanti anni ha.

Girando per internet scopro che tra il 1965 e il 1974 ha scritto 16 romanzi (non sono troppi in soli 10 anni?) e che tutti hanno per protagonista delle ragazze “animate da una tenace volontà di affermazione lavorativa e sociale”.
Cosa allora non mi è piaciuto del suo stile?
Il fatto che la storia sembra essere costruita a tavolino e che non trasmetta nulla di sé ai lettori. La storia può essere simpatica, le gag forse divertenti (non molto a dire il vero), l’ambientazione sportiva interessante (almeno per me, che la pallavolo amo e che su di essa ho scritto un romanzo).
Ma i personaggi non bucano, non lasciano assolutamente niente dentro. Sono marionette buttate lì per seguire una storia che DEVE andare in quella direzione. Non c’è vibrazione, non c’è niente.
Sembra solo una trama creata per far divertire/sognare/distrarre le lettrici. Senza dare però nulla di concreto.

 


Una delle gag che dovrebbe essere divertente ma che irrita per la sua insensatezza
si svolge ad una vendita di beneficenza.

Vocabolario che strizza troppo l’occhio ai giovani
Partiamo dal vocabolario utilizzato.
Da subito mi ha dato la sensazione che la Ferretti utilizzasse parole e locuzioni giovanili solo per dimostrare di conoscerle, per strizzare l’occhio alle lettrici e dire: “vedete, vi sono amica, uso il vostro slang, non sono una matusa come i vostri genitori o i vostri insegnanti. Amatemi per questo”.
Ma la letteratura non è questo.
Se da una parte è giusto usare il vocabolario adeguato, dall’altra non bisogna inseguire i giovani sulla loro strada, ma bisogna insegnare loro l’arte e la letteratura. Bisogna guidarli, non inseguirli.
Esempi di locuzioni o parole utilizzate (alcune delle quali non ho neppure ritrovato sul vocabolario!): fare cine (per dire mettersi in mostra, pavoneggiarsi), torcia (per un’atleta alta e forte, forse anche bionda?), finlandese (nel senso di…? Non sono sicura, credo che sia una sorta di maglia di allenamento). Ma gli esempi sono tantissimi.


La pallavolo!
Certo è un atto meritorio aver parlato di pallavolo, uno sport che nei primi Anni Settanta era praticamente sconosciuto (Mimì era ancora lontana da arrivare e i primi successi azzurri sarebbero giunti solo anni dopo).
Ma il problema è anche questo.
Ce n’è troppo poca.
In definitiva, a parte un paio di capitoli ambientati in Jugoslavia e il capitolo finale (che sembra attaccato con il nastro adesivo con il resto della trama), la pallavolo praticamente non c’è. Anche se la Ferretti tiene a fare un lunghissimo approfondimento sull’ISEF e sulla medicina dello sport (con note infinite), quasi a far sembrare che il libro sia uno spot su questi argomenti e non un sentimento che nasce dal cuore dell’autore.
Curiosità: a pag. 42 c’è scritto che tra i vari movimenti in cui si allena le ragazze c’è il ‘treno’.
Io mastico pallavolo da anni, ma ammetto di non aver sentito questo schema. E quindi cosa faccio? Indago!
Riesco a scoprire solo che si tratta di una finta, sulla scia della pipe. Forse dovrei scoprire il nome in inglese, ma al momento non lo so.


Scena finale. Dopo un gran girovagare della trama, torna la pallavolo

#UnescoBook – La meravigliosa Dubrovnik
Nota di merito. Alcuni capitoli sono ambientati nel centro storico di Dubrovnik, entrato nel Patrimonio culturale dell’Unesco nel 1979 (quando era ancora Jugoslavia, ora è Croazia).
Le descrizioni sono molto belle e fanno di questo libro un vero e proprio #UnescoBook.
Ecco un brano tratto da pag. 32:
“C’era da rimanere senza fiato: dall’antica città emanavano un’aurea di sortilegio, influssi quasi palpabili di storia, arte, pensiero. Un odor di vicende fitte come le sue case, ardenti come il sole che calcinava i muri, violente come le onde azzurre che battevano la diga foranea del porto”.



La meravigliosa Dubrovnik

Un po’ di cultura: Proust e il velluto di Zoagli
Non mancano un paio di cenni interessanti.
Il primo a pagina 26:
“Proust si innamorò di Albertine vedendola saltare, a piè pari, un vecchio signore semiaddormentato sulla sua sedie a sdraio, sul lungomare di una stazione balneare.
Se sul ponte di quella nave, quella mattina e a quell’ora, si fosse trovato qualche scrittore dalla sensibilità proustiana, avrebbe avuto il cuore infranto definitivamente dallo spettacolo di tante fanciulle in fiore che saltavano come giovani baccanti”.
Il richiamo è al secondo volume di Alla ricerca del tempo perduto. Anche qui, però, l’autrice sembra voler sfoggiare la sua cultura, più che contestualizzare il tema e farlo passare ai suoi lettori.


L’altro cenno che ha destato la mia curiosità è a pagina 66.
“Sul divano-letto, fra i cuscini di un raro e sfilacciatissimo velluto di Zoagli (…) presero posto Novella, Laura, Gianna e Ginetta”.
Non so cosa sia il velluto di Zoagli, quindi indago.
Zoagli è un antico borgo marinaro in Liguria, famoso, a partire dalla fine del Quattrocento, per l’eccellenza delle sue seterie che, nel corso dei secoli, hanno fatto di questa città una delle più importanti produttrici tessili non solo d’Italia ma dell'Europa intera specializzandosi nella lavorazione manuale di velluti in seta pura.
“La lavorazione di Zoagli consiste nella produzione di sete, damaschi e velluti tessuti a mano per lo più appannaggio del gentil sesso che, armate di pazienza e di resistenza, si mettevano all’opera alle prese con filato di seta pura e, con le loro abili mani, intrecciavano fili di ordito e trama servendosi di antichi telai in legno tutt’oggi in vigore” leggo su Turismo.it, che aggiunge anche che tra i clienti illustri di questo velluto si annovera perfino Enrico VIII…

 



Complessivamente si tratta di un libro che scorre via veloce, ma che lascia ben poco in mano. Anche io, oggi come oggi, non lo consiglierei ad un’adolescente, caldeggiando altri titoli, più interessanti e pieni di contenuti. 

Letto: 23-31 marzo 2022

Voto: 4 al libro, 4 ad Annamaria Ferretti, 6 alle illustrazioni di A. Baita, 2 all’assenza della pallavolo in un libro che parla di pallavolo

Stelle mozzafiato: *

Recensione in arrivo: Le pene d’amore di Nicole Clarkson (prequel variazione di Orgoglio e Pregiudizio)

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