Jane Eyre
di Charlotte Brontë
Dati tecnici:
Titolo originale: Jane
Eyre
Traduttrice: Luisa Reali
Casa Editrice: Mondadori
Collana: Oscar Classici n. 7
Pagine: 575
Anno: 1847 (in Italia non so, la mia edizione è del 2017,
ristampa da un’originale del 1996)
Genere: letteratura dell’Ottocento
Jane
Eyre, 10 anni, vive a casa della zia acquisita con tre cugini. I genitori sono
morti quando era molto piccola e lo zio, fratello dalla madre, l’ha accolta
amorevolmente in casa (senza l’entusiasmo della moglie). Quando anche lo zio
viene a mancare, per Jane Eyre inizia una stagione di maltrattamenti e di
terrore nella grande e ricca casa che la ospita.
Infine,
il destino sembra regalarle una via d’uscita quando la zia, stanca della sua
presenza, decide di inviarla nel collegio Lowood. Qui la piccola passa otto
anni, sei come studentessa e due come insegnante, tra amiche preziose,
insegnanti generose, vita malsana e sogni segreti.
Infine,
quando l’amata maestra abbandona il collegio per sposarsi, Jane decide che è arrivato
il tempo per una nuova vita e mette un annuncio su un giornale per offrire i
suoi servigi come istitutrice. Dopo pochi giorni risponde una certa signora
Fairfax, che vuole assumerla come istitutrice della piccola Adèle.
Jane
Eyre accetta e parte così per Tornfield Hall senza sapere che quella decisione
le cambierà la vita per sempre…
Jane Eyre (Ruth Wilson) si incammina verso Tornfield Hall
(still dallo sceneggiato BBC del 2006, la migliore trasposizione a mio avviso)
Commento: Ho
deciso di leggere Jane Eyre dopo
essermi imbattuta nello scempio La bambinaia francese firmato senza vergogna da Bianca Pitzorno, in cui non
solo la storia, ma l’anima stessa dei personaggi venivano stravolti con
accanimento famelico (chissà cosa avevano fatto Jane Eyre e Rochester alla
Pitzorno). Ma la scelta non è stata semplice. Non avendo Jane Eyre in casa sono andata a caccia di un’edizione in libreria.
Le mie esigenze primarie erano: che l’edizione fosse integrale (odio quando un
romanzo viene ridotto, anche perché non mi spaventano le lunghe letture, al
contrario, mi coinvolgono e mi stimolano) e che avesse una traduzione adatta al
testo (non fosse mai che mi ritrovassi Jane Eyre che diceva “settimana
prossima” o che ammiccava con un linguaggio giovanile). Ho quindi selezionato
la versione degli Oscar Mondadori, perché, benché avesse una copertina orribile
(ma come l’hanno pensata?) era la ristampa di un’edizione del 1996 (25 anni
fanno moltissimo in questo campo), senza contare che la traduzione forse
risaliva ad ancora prima.
Sono
molto felice perché la scelta è risultata eccellente, con una prosa scorrevole,
ricca di parole un po’ desuete e la capacita narrativa di trasportarmi
esattamente lì dove volevo andare.
Non
volendomi attardare nello scrivere il significato immenso di questo libro nella
letteratura mondiale (fin troppe persone prima di me hanno avuto l’onore di
parlare di Jane Eyre), mi soffermerò
su quello che mi ha colpito nella lettura e su piccole curiosità rimaste ai
margini delle grandi trasposizioni.
Un'immagine dal film del 1996 di Franco Zeffirelli con Charlotte Gainsbourg e William Hurt
Profonda
religiosità del testo
Quello
che mi ha colpito maggiormente del libro è la profonda religiosità di Jane Eyre
e di conseguenza di Charlotte Brontë. Così come avevo notato per un altro
classico dell’Ottocento, Heidi, le
trasposizioni cinematografiche o televisive hanno praticamente omesso
completamente questa parte, millantando quasi che fosse una caratteristica
precipua dell’epoca ma che mal si intonasse con la trama generale. Tuttavia è
vero il contrario, sia nell’uno che nell’altro caso.
Per
quanto riguarda Jane Eyre l’imprinting religioso è fondamentale per capire
TUTTA la storia e TUTTI i comportamenti del personaggio principale, nonché
anche il perché Rochester si innamori di questa donna bruttina: perché in lei
trova la via della Salvezza che lo riavvicina a Dio (non sono io a
fantasticarlo, ma lo stesso Rochester a dirlo nel libro).
La
figura principale in questo percorso è rappresentata dalla giovane Helen, che
Jane incontra a Lowood e che rimarrà accanto alla protagonista per pochissimo,
perché poi la sua situazione di salute peggiorerà ed ella morirà. Ma prima di
morire Helen pronuncia un discorso lungo e profondo sulla vita e sulla morte,
su Dio e sulla creazione. Jane Eyre, fino a quel momento scettica o incerta,
trova in quelle parole una salvezza, riconosce un messaggio. E questo messaggio
lo custodirà a lungo nel cuore. Tanto che Jane Eyre scriverà immediatamente nel
libro (la narrazione è in prima persona) che “per quindici anni dopo la morte, la sua tomba rimase coperta soltanto
da un tappeto d’erba; ma ora è segnata da una lapide di marmo grigio che reca
inciso il suo nome e la parola
‘Resurgam’” (pag. 101).
Ecco;
Jane Eyre ci vuole indicare immediatamente quanto Helen sia stata importante
per lei e quanto non l’abbia mai dimenticata, tanto che 15 anni dopo, una volta
ritrovata non solo la stabilità economica ma anche la salvezza del suo
Rochester, Jane Eyre donerà alla giovane amica una lapide affinché tutti
sappiano la forza della sua pur breve vita.
Ma
di certo la forza del messaggio salvifico della religione cristiana non si
trova unicamente in queste poche righe…
Nel film del 1943 (La porta proibita in italiano) con Orson Wells e Joan Fontaine, la parte di Helen è interpretata da una giovanissima Elizabeth Taylor.Nella parte della piccola Jane Eyre recita Peggy Ann Garner.
Voglio che sia giusta
A
pag. 172, nel corso di un dialogo tra Jane Eyre e il signor Rochester si
affronta una questione assai delicata (e attualissima direi). Anche qui la
forza morale e la semplicità di Jane Eyre colpiscono Rochester più di qualsiasi
altra cosa (e di certo questo è quello che la Brontë voleva che il lettore
capisse).
Si
parla, infatti, di comportamenti nuovi, che meriterebbero “una nuova legge” per essere legittimati.
Jane
Eyre è scettica e spiega a Rochester che “gli
essere umani e fallibili non dovrebbero rivendicare un potere che può
appartenere soltanto all’essere divino e perfetto (…). Non si può dire ‘Voglio
che sia giusta’ di ogni condotta strana e ingiustificata. (…). ‘Spero che sia
giusta’”, eventualmente.
Anche
qui, pur Jane Eyre non capendo a cosa si riferisca Rochester, viene dato un
forte messaggio comportamentale che spiazza e seduce Rochester perché nella sua
ingenua semplicità Jane Eyre lo sta riconducendo a Dio.
Un'illustrazione di Edmund Garrett tratta dall'edizione inglese del 1897.
I principi e le leggi
Infine,
il capolavoro. La frase più forte di tutto il romanzo (almeno per me).
A
pag. 401, mentre Jane Eyre si tormenta per quello che è accaduto (ha appena
scoperto l’esistenza della moglie pazza di Rochester) e si dilania alla ricerca
di una soluzione su cosa fare (la tentazione di abbandonarsi comunque a
Rochester è immensa perché sa di amarlo e di essere amata), trova la risposta
su quello che deve fare.
“I principi, le leggi non sono fatti
per i momenti privi di tentazione; ma per momenti come questi, quando il corpo
e l’anima si ribellano al loro rigore; sono inviolabili; saranno inviolati”.
Ed
ecco qui Jane Eyre.
Ecco
perché Rochester si innamora di lei.
Ecco
perché Dio parla a lui tramite di lei.
Ecco,
infine, perché Rochester si salverà grazie a lei.
E’
stato questo rigore di Jane Eyre, questo prestare fede alla legge divina anche
quando tutto porterebbe Jane Eyre in un’altra direzione, a creare TUTTA la
trama della storia. Sembra quasi che tutta la storia sia stata pensata intorno
a questo messaggio da veicolare, il nucleo attorno a cui gira assolutamente
tutto.
Un
appello. Un messaggio.
Forte.
Fortissimo.
Perché
cancellarlo?
Fulmine ippocastano
Molto
significato a mio avviso anche il fulmine che colpisce e spacca in due il
grande ippocastano sotto il quale Rochester ha chiesto a Jane Eyre di sposarlo
nella notte immediatamente successiva all’avvenimento.
E’
un’immagine che viene citata in appena un paio di righe (pag. 323), ma che è
presagio di sventura e cha dà subito i brividi nel leggerlo. Quasi un
ammonimento divino che quello che sta accadendo non sia giusto…
Jane Eyre e Rochester sotto all'ippocastano durante la sorprendente proposta di matrimonio
(proposta che prende alla sprovvista lo stesso Rochester, incapace, infine, di tacere).
Immagine tratta dal film del 2011 con Mia Wasikowska e Michael Fassbender.
Un
pizzico di fantasy. Chi sono gli ‘Uomini verdi’ di cui parla Rochester?
Nel
corso del capitolo XIII del romanzo (pag. 152), durante i primi dialoghi tra il
signor Rochester e Jane Eyre, in cui i due iniziano a conoscersi e a
riconoscersi, Rochester, ancora colpito dall’incontro-scontro del giorno prima
in cui il suo cavallo si spaventa nell’imbattersi in Jane Eyre facendolo cadere
dalla sella e lasciando nel padrone la convinzione che la nuova istitutrice sia
in realtà una creatura ultraterrena, provoca la giovane Jane con questa
domanda: “Stavate aspettando la vostra
gente mentre eravate seduta sulla staccionata?”.
Alla
domanda sorprendente, Jane Eyre risponde. “La
mia gente, signore?”.
Rochester
replica: “Gli uomini verdi: era una sera
adatta per loro con quel chiaro di luna. Avete sparso quel ghiaccio maledetto
sulla strada perché ho spezzato uno dei vostri cerchi magici?”.
Senza
scomporsi Jane Eyre scuote la testa e dice seriamente: “Gli uomini verdi hanno lasciato l’Inghilterra cento anni fa. E neppure
sul sentiero di Hay o nei campi intorno se ne potrebbe trovare traccia. Non
credo che la luna dell’estate, né quella dell’autunno o dell’inverno
illumineranno più i loro giochi”.
Perplessa
un po’ come la signora Fairfax che ascolta la conversazione lavorando a maglia,
mi domando chi siano questi ‘uomini verdi’ (men
in green nel testo originale) ed ovviamente inizio a fare una ricerca
on-line sul folklore inglese che mi sveli il segreto (nel corso del libro
Rochester usa molti nomignoli all’indirizzo di Jane Eyre che richiamano fate,
elfi e creature ultraterrene, a significare, credo, la forte influenza che
quella donna piccola e quasi insignificante ha su di lui, quasi fosse colpito
da un sortilegio).
Quello
che scopro è che ‘men in green’ non è una locuzione molto utilizzata in lingua
inglese per quanto riguarda creature simil-fantasy (solitamente i men in green sono gli atleti irlandesi)
e che quasi tutti i link riportavano proprio a questa conversazione assai inconsueta
tra Rochester e Jane Eyre, a significare che è una locuzione propria di
Charlotte Brontë, o almeno in voga all’epoca in cui fu scritto il romanzo ed
ora dimenticata.
Alcuni
suggeriscono che si possa riferire ai leprecani irlandesi (riprendendo le
origini irlandesi del padre di Charlotte Brontë), magari lasciando anche un
messaggio politico sulla situazione tra Irlanda e Inghilterra (con i leprecani
che hanno abbandonato da un centinaio di anni quella terra), ma secondo me è
un’interpretazione un po’ azzardata, anche perché non si ha memoria che queste
creature abbiano mai vissuto in Inghilterra.
A
mio avviso è più verosimile che si riferisca ad elfi o folletti. In particolare
ho ritrovato assonanze con i Tylwyth Teg gallesi, piccole creature fatate
vestite di verde, che danzano e creano cerchi in pietra fatati (ho letto la
storia di Shuï Rhys, nella raccolta di leggende britanniche scritta da Wirt
Sikes ed edita nel 1880, e si adatterebbe alla visone richiamata da Rochester).
Un'illustrazione dell'Ottocento di Shuï Rhys.
Che dite, si adatta all'immagine che richiama Rochester nella sua assurda conversazione?
Che dite, si adatta all'immagine che richiama Rochester nella sua assurda conversazione?
Libri
di Charlotte Brontë
Ho
trovato molto interessante il fatto che Charlotte Brontë faccia sfogliare ed
amare a Jane Eyre i libri che lei stessa aveva amato nella biblioteca del padre
e su cui probabilmente aveva fantasticato esattamente come fa Jane Eyre in casa
Reed, prima di andare a Lowood. In particolar modo mi ha suggestionata La storia degli uccelli d’Inghilterra di
Bewick, grazie al quale Jane Eyre fantasticava di terre lontane e selvagge,
quasi avesse le ali di quegli uccelli migratori, citando terre che mai avrebbe
visto o ammirato come la Lapponia, la Siberia, l’Islanda, la Groenlandia o la
meno conosciuta Spitzbergen (isola norvegese). (In effetti ammetto che anch’io
quando posso, faccio sfogliare ai miei personaggi i libri che più amo o che più
mi hanno segnato).
Una delle tante illustrazioni del libro di Bewick
Così
come è interessante la citazione del Castello di Heidelberg, che Jane Eyre ha
visto chissà dove (e chissà dove lo aveva visto Charlotte Brontë aggiungerei) e
che la Eyre cerca di riprodurre in uno
schizzo (pag. 148). Incuriosita, mi domando che castello sia ed
ovviamente vado a cercarlo su Internet.
Scopro
così che si tratta di un castello gotico tedesco tra i più famosi, che subì
vari danni nel Seicento a causa di scontri bellici con la Francia e che fu solo
in parte ricostruito negli anni successivi. Nel leggerne la storia quasi mi sembra
che la Brontë con la citazione flash di
questo castello (dura appena una riga) voglia quasi anticiparci il destino
infausto riservato a Thornfield Hall…
Il Castello di Heidelberg in un quadro dell'Ottocento di Carl Ludwig Fahrbach
Complessivamente
l’ho trovato un libro meraviglioso, di una potenza narrativa esplosiva.
Un
amore intenso, quasi inspiegabile, che nasconde molto ma molto di più.
Un
messaggio che assicura che tutti possono essere salvati, se viene compiuto il
proprio dovere. Ma che è necessario farlo con il cuore e con passione
altrimenti si rischia di diventare aridi come St John (il cugino ritrovato).
Un
insegnamento che quasi prefigura i tempi futuri, che ormai sembrano diventati
sordi ai richiami delle leggi e dei principi…
Letto: 13
novembre 2019 – 03 gennaio 2020
Voto: 10
al libro, 10 a Charlotte Brontë, 0 alla copertina (ma come ha potuto la
Mondadori ideare una copertina tanto orribile?), 2 all’edizione (un libro del
genere non può essere prodotto con una qualità così bassa con rilegatura
fresata e non cucita a filo refe), 9 alla traduzione.
Stelle mozzafiato: *****
Recensione in arrivo: La Primula Rossa
della baronessa Emma Orczy
Ciao Diletta, fantastica recensione, secondo me la più bella ( e anche la più sentita) tra tutte quelle che ho letto ...l'unica cosa che mi ha lasciata stupita è che tu non avessi mai letto Jane Eyre fino ad ora ...cioè ...strano per un'autrice che ama le letture classiche.
RispondiEliminaComunque complimenti, è davvero una recensione originale che si discosta da tutte le altre e che sottolinea un punto importante, che come hai scritto tu viene tagliato fuori"dai tempi moderni", quasi ormai la fede fosse una ridicolaggine...invece ce ne sarebbe davvero bisogno. Penso che il mondo d'oggi abbia perso un po' il giusto sentiero. BRAVA ! BRAVISSIMA !!
Strano vero???? In effetti mi manca tutta la letteratura brontiana. Lessi da adolescente solo 'Shirley' (in versione ridotta), di cui non ricordo praticamente nulla. Per 'Jane Eyre' mi sono affidata alle riproduzione cinematografiche e televisive, come se fossero sostitutive del romanzo! Ma mi sono sbagliata! Ringrazio, in questo senso, l'orribile 'La bambinaia francese' che mi ha mosso a comprare e leggere infine 'Jane Eyre', per gustarlo al meglio.
EliminaAl riguardo non posso dimenticare una cena assieme ad una cara amica (Maria Laura), che ama visceralmente 'Jane Eyre' e con cui abbiamo passato ore a parlare di Jane e Rochester, Adèle e la signora Fairfax...
Sono felice davvero che ti sia piaciuta la recensione e che condividi le mie impressioni sulla religione di ieri e di oggi!!!
TVTTTB
Brava, una bellissima recensione ad un libro che amo da quando avevo 16 anni (ne ho 44). La forza morale di Jane e la sua pronda fede che la guda nelle scelte sono sottolineate benissimo. Jane ha la forza morale per salvare se stessa e Rochester e lui se ne accorge con stupore e se ne innamora. Grazie.
RispondiEliminaGrazie di cuore. Sono davvero felice che ti sia piaciuta la mia recensione e che anche tu vi hai visto quello che vi ho visto io. Un abbraccio, Diletta
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